Tecniche

per l’incisione

La tecnica dell’incisione

L’incisione, come linguaggio espressivo, nasce assieme all’uomo prima ancora delle altre arti (graffiti rupestri). Tuttavia essa trovò un’applicazione pratica soltanto in tempi recenti, essendo la sua storia strettamente legata alla storia della carta. La stampa d’arte ha origine in Cina, in seguito all’invenzione della carta intorno al 105 d.C. Successivamente la carta passò alla Persia, mentre in Europa fa la sua comparsa nel XII secolo attraverso la Spagna, per opera degli arabi. La stampa conosciuta più antica, che abbini testo e immagini, è una xilografia cinese, nota come il Sutra del Diamante, che risale al 868 d.C., conservata al British Museum di Londra. Come già ricordato, la carta arrivò in Europa intorno al 1160; si trattava però di una carta ancora grezza, inadatta a ricevere l’impressione. Venuta in uso la biancheria di lino, si cominciò, alla metà del 1300, con i rifiuti di questa, a fabbricare la carta in Italia nelle città di Fabriano, Padova e Treviso. Questo fatto coincide con il rapido diffondersi dell’incisione, sostenuta da una richiesta sempre maggiore di immagini religiose e di carte da gioco.

La stampa d’arte “originale”

Ciò che noi chiamiamo stampa raggruppa, in verità, una quantità di oggetti diversi tra loro, aventi come unico elemento in comune il supporto cartaceo.Universalmente per stampa s’intende la riproduzione di scritti o disegni in un numero limitato di copie, ma anche il complesso procedimento di operazioni necessarie a tale scopo. Molto spesso purtroppo si confonde una stampa “originale”, sia essa un’incisione, una litografia, una serigrafia o xilografia od altro, con un poster od una riproduzione realizzata con mezzi fotografici. Una “stampa d’arte” non è una riproduzione bensì un “originale”, poiché è l’impronta lasciata da una matrice (lastra di zinco, rame, ferro o legno), sulla quale l’artista ha elaborato un’immagine inedita, creata appositamente ed unicamente per essere impressa su carta speciale. Generalmente detta stampa si ottiene collocando, sul piano scorrevole di un torchio a rulli, la lastra inchiostrata sulla quale si sovrappone un foglio di carta, precedentemente ammorbidito con acqua. Il tutto viene fatto passare nel torchio, tra i due rulli tenuti in forte pressione tra loro. In questo modo l’immagine, incisa sulla lastra, viene stampata sul foglio, per semplificare, quasi come un timbro.
Una stampa originale ha una tiratura molto limitata, in quanto il procedimento di impressione a torchiò determina una forte usura e deformazione della lastra stessa.

Che cos’è e come nasce un’acquaforte

Acquaforte non è altro che una soluzione acida (dicesi scoperta da un alchimista arabo nel IX secolo) che può corrodere i metalli, ma, col tempo, si denominò “acquaforte quella stampa ottenuta su un foglio di carta per mezzo dell’impressione calcografica di una lastra di metallo incisa con una qualsiasi soluzione acida corrosiva…”.
Per ottenere una stampa occorre una matrice solida sulla quale sia stata incisa l’impronta di un disegno.
Due sono i modi per incidere tale impronta:
• a “rilievo”: il disegno apparirà “rilevato” sulla matrice incisa, pronta per l’impressione. Tale specie di incisione, dalla materia abitualmente adoperata per la matrice, il legno, si chiama xilografia, (xilon in greco significa legno).
• ‘ad incavo”: il disegno apparirà” scavato” su la matrice incisa, pronta per l’impressione. Anche tale specie d’incisione dalla materia più idonea e generalmente adoperata per la matrice, il rame, si chiama calcografia (kalkòs in greco significa rame).
Quando si dice: “stampa ottenuta per mezzo dell’impressione calcografica” vuol dire che la matrice è una lastra di metallo incisa ad incavo”, mentre invece si usa chiamare “impressione tipografica” il modo col quale si stampa una matrice incisa “a rilievo”. —.
La “xilografia” è la più antica maniera di stampa a rilievo che si conosca ed è apparsa in Europa sulla fine del Trecento, alcuni secoli più tardi che in Cina ove, anche la carta, era usata assai prima che in Occidente. La più antica stampa xilografica “datata” che sia pervenuta sino a noi, è la “Madonna con quattro Santi” del 1418 (Gabinetto delle Stampe di Bruxelles) e solo 36 anni dopo nel 1454 Gùtemberg, gentiluomo magontino in esilio a Strasburgo, inventò i caratteri alfabetici mobili, fusi in forme impresse con punzoni d’acciaio, dando origine alla tipografia (impressione tipografica). In fondo tali caratteri mobili altro non sono che matrici incise “a rilievo.
La “calcografia”, come maniera di stampa “ad incavo”, è meno antica ed è nata in Europa.
Per incidere “ad incavo” una matrice di metallo non vi sono che due mezzi:
• Inciderla direttamente con bulini, punte od altri arnesi.
• Inciderla servendosi di una soluzione acida capace di corrodere i metalli (acquaforte).

Il primo mezzo, cioè l’incisione diretta, altro non è che l’antichissima arte di incidere i metalli, nota anche agli orefici dei tempi più remoti, però è solo nel. 1452 che, per opera del niellatore fiorentino Maso Finiguerra, come narra il Vàsari, si trovò l’ingegnosa applicazione, a scopo di stampa, di una lastra incisa ad incavo. E qui io sono con quelli che credono all’origine italiana della calcografia nata dai niellatori fiorentini i quali, per poter giudicare con certezza l’effetto delle loro incisioni ornamentali su oggetti di varia oreficeria in corso di lavorazione, oppure per conservare un modello della propria incisione prima di consegnare l’oggetto al committente od acquirente, ne stampavano sulla carta l’impronta netta.

Il secondo mezzo, cioè l’incisione con la soluzione acida, come origine si fa risalire al 1150, data dell’iscrizione latina “Apulus ei Calaber, siculo mihiservit et afer” incisa all’acquaforte sulla spada di Ruggero 11° Re Normanno di Sicilia. Però solo nel 1530 Francesco Mazzola detto il Parmigianino (1503-1540) incise all’acquaforte le prime lastre di rame a scopo di stampa e, stabilendone in modo deciso l’indirizzo e le norme, fondò l’acquaforte italiana con prove e risultati del tutto indipendenti da quelli realizzati tra il 1515 ed il 1518 da Alberto Dùrer su lastre di ferro. Purtroppo noi oggi non possediamo nessuna lastra incisa all’acquaforte dal Parmigianino ed anche le stampe pervenuteci sono rare, però, della quindicina di rapidi schizzi che di lui ci rimangono, anche se il pregio artistico non è sempre eccellente, l’importanza è grandissima per l’influenza che hanno poi esercitata sugli incisori della fine del Seicento.
Chiarito così il significato di acquaforte e fissatane data e luogo di origine, vediamo come essa nasce.
Un’acquaforte nasce e si perfeziona attraverso tre momenti diversi e lontani l’uno dall’altro, eppur uniti inscindibilmente come concezione e come tecnica.
Il disegno del soggetto sulla lastra (quasi sempre di rame) poi la incisione del disegno per mezzo della soluzione acida (di solito acido nitrico detto anche acquaforte) ed infine la stampa della lastra incisa sulla carta per mezzo del torchio calcografico.

Il disegno: si comincerà con lo stendere su ambo i lati di una lastra di metallo, ben levigata e spianata, un sottile strato di cera o vernice atta a resistere all’azione degli acidi e poi su questa, con una o diverse punte di vario spessore, si graffierà il disegno che si potrà o inventare o ritrarre direttamente dal vero oppure tradurre da altro disegno precedentemente fatto.

L’incisione: la lastra, così disegnata. si sommergerà in una soluzione acida corrosiva che non intaccherà le parti verniciate del metallo, bensì quelle dove fu scoperto dalle punte che asportando più o meno la vernice secondo il loro diverso spessore tracciarono all’acido il cammino da seguire per incidere le varie tonalità di chiaroscuro del disegno.
L’acquafortista, mentre così disegna ed incide, vedrà, con gli occhi della mente, come dovrà essere la sua stampa definitiva quando l’avrà impressa.

La stampa: si pulirà la lastra dalla vernice o cera e si riempiranno, con inchiostro calcografico, i solchi incisi avendo cura di togliere l’inchiostro dalle parti lisce, con appositi veli, dopo di che, a mezzo del torchio calcografico, si stamperà su di un foglio di carta precedentemente inumidito. La pressione dei due cilindri del torchio fra i quali passerà la lastra col foglio di carta sopra, darà alla stampa che ne risulterà, quel caratteristico schiaccio od impronta pel quale sarà poi facile distinguerla da una stampa tipografica.

E lo scopo ditale complesso procedimento calcografico non è solo di poterne stampare, incisa la lastra, alcune copie, ma quello di ottenere dei risultati artistici tali che con nessun altro mezzo si potrebbero raggiungere.
Nessuna punta di pennino, per quanto fine, potrà mai dare segni tanto nitidi e sottili; nessuna matita o pennello potrà mai dare neri così intensi e vellutati, o misteriosi e profondi come abissi, o chiari e lucenti come cieli primaverili.
Perciò l’acquaforte è, della nobile e suggestiva arte del “Bianco e Nero”, l’espressione più raffinata e potente. L’acquatinta invece è l’espressione più adatta per stampare con gli inchiostri colorati giocando su compenetrazioni e sfumature altrimenti impossibili .

Antonio Carbonati

Stampa d’arte

La stampa ha origine in Cina, a seguito dell’invenzione della carta, intorno al 105 d.C. ed in Europa fa la sua comparsa nel XV   secolo. La stampa conoSciuta più antica, che abbini testo a immagini, è una xilografia cinese; nota come il Sutra del Diamante, che risale al 868 d.C., conservata al British Museum, Londra. Da allora tutti i più importanti artisti, tutti i movimenti e tutte le correnti pittoriche si sono cimentati Con queste tecniche complesse ma dalle illimitate potenzialità espressive.

Dal Mantenga a Durer, da Rembrandt a Tiepolo; da Goya a Matisse; da Picasso, a Mirò, a Chagal, a Klee, fino alla Pop Art e Warhol nessun artista è sfuggito all’attrazione della grafica e della stampa d’arte. Ogni tecnica è stata fatta propria da ogni artista, sezionata e ricomposta secondo le proprie esigenze; dalla più antica la

Xilografia che consiste nell’intagliare alcune parti della superficie di una tavola lignea in modo da creare un disegno in rilievo dell’immagine desiderata. I legni impiegati tradizionalmente sono il ciliegio o il pero, perché più duttili. L’artista disegna l’immagine sulla superficie preparata e procede all’eliminazione del legno lungo i lati delle linee tracciate, in modo da far emergere in contorno dell’immagine, che diventa così a “rilievo”. Sulla matrice così ottenuta si fa scorrere un rullo di un inchiostro a base di olio, che annerisce tutte le parti in rilievo; quindi vi si depone sopra un foglio di carta, meglio se di tipo molto assorbente. A questo punto si può stampare l’immagine a mano, passando sul retro del foglio un tampone; oppure si può porre matrice e foglio sotto un torchio tipografico, in modo che la pressione trasferisca l’inchiostro dalle parti in rilievo della tavoletta alla carta. Al termine della stampa, si stacca delicatamente il foglio a partire da un angolo: sulla sua faccia inferiore resta l’immagine rovesciata del motivo inciso dalla matrice. Come per ogni tecnica che contempli più colori, per le xilografie colorate si adoperano tavolette distinte, una per ogni colore.

o la Puntasecca, o punta immediata, che è la più semplice tra le tecniche d’incisione su metallo. L’artista incide l’immagine direttamente su una lastra di rame o zinco non trattata, utilizzando uno strumento simile a una matita, con una scheggia di diamante come punta. Premuto e trascinato sulla lastra, esso produce un solco ai cui lati si sollevano dei sottili riccioli di metallo, detti “barbe”. Durante -la tiratura, lo stampatore cerca di conservare le barbe, poiché esse, trattenendo l’inchiostro, producono linee profonde e vellutate. La pressione del torchio permette raramente di ottenere più di venti o trenta esemplari prima che le barbe. molto delicate, vadano perdute. Come per tutte le tecniche calcografiche, il procedimento di stampa prevede che la matrice venga inchiostrata,  poi perfettamente ripulita lasciando l’inchiostrosolo nei solchi, quindi coperta con un foglio inumidito e infine montata sotto il torchio,  detto a stella per la ruota a raggera, per la stampa. In questa operazione la carta inumidita,sotto la pressione (lei torchio, si deforma e penetra nei solchi assorbendo il colore in essi contenuto e trasferendo quindi l’immagine.

Così come per il Bulino che prende il nome da una sottile asta di acciaio temperato lunga circa 10 centimetri, a sezione variabile, con la punta tagliata diagonalmente. Su una lastra di rame viene dapprima schizzato il disegno quindi si ripassano i segni con il bulino, che asporta un ricciolo di metallo. A differenza della puntasecca, le barbe che rimangono ai lati vengono completamente asportate con un raschiatoio; le zone tonali sono realizzate con fitti tratteggi. paralleli o incrociati. La matrice viene quindi inchiostrata. secondo il procedimento comune della stampa calcografica, e posta sotto il torchio a stella.

O cimentandosi nelì’,Acquaforte dove sulla lastra metallica perfettamente sgrassata e ricoperta (li uno strato uniforme di vernice resistente all’acido, l’artista procede all’incisione dell’immagine servendosi di una punta d’acciaio estremamente sottile e rimuove la vernice dalla lastra in corrispondenza dei tratti del disegno. Quindi, protetto anche il retro della lastra con la vernice, immerge la matrice in un bagno di acido, la cui azione corrosiva scava il metallo messo a nudo dalla punta. La durata dell’immersione (o morsura) nell’acido determina la profondità del solco e quindi la forza del segno stampato. Si possono realizzare anche diverse morsure successive, per ottenere una maggiore varietà di tratti.

O nella sua variante l’Acquatinta il cui utilizzo risale al XVII secolo e serve per ricreare nelle stampe gli effetti dell’acquerello e del guazzo. Il procedimento chimico cui è sottoposta la matrice è simile a quello dell’acqaforte, ma la tecnica di preparazione della lastra è diversa, come completamente differenti sono gli esiti della stampa: le parti della superficie metallica esposta all’azione dell’acido sono molte estese, e trattate in modo da creare zone tonali invece che motivi definiti. lì metodo ad acquatinta è spesso difficile da controllare e viene solitamente impiegato insieme alle tecniche dell’acquaforte e della puntasecca.

Un altro metodo di stampa calcografica è la Manieranera o  Mezzatinta ” per realizzarla, una lastra viene posta a contatto con  l’acido in modo che  su tutta la superficie si creino del le porosita. Se la lastra venisse inclìiostrata e stampata a questo punto si otterrebbe c una stampa uniformemente scura. di un nero intenso e vellutato. L’artista crea  il motivo da stampa re lavorando con brunitoi e raschietti sulla superficie porosa della lastra, le zone pulite corrisponderanno ai bianchi dell’immagine riprodotta. Quindi si procede all’inchiostratura della matrice e infine alla stampa. I passaggi dalle zone di nero carico a quelle di bianco possono essere molto graduali e sfumati, permettendo di ottenere tramite il chiaroscuro gli straordinari effetti di volume e profondità per i quali questo metodo è noto.

La Litografia– è un procedimento di stampa basato sull’incompatibilità fra grasso e acqua: l’uno respinge l’altra e viceversa. Tradizionalmente, il materiale impiegato per la litografia è una pietra calcarea porosa tipica della Baviera, abbastanza dura e permeabile. In sostituzione del calcare, si impiegano anche lastre di zinco o alluminio. L’artista disegna l’immagine della pietra (perfettamente levigata o, in alcuni casi, leggermente satinata, o “granita”) con una matita litografica a base di materiale grasso o con una penna caricata a inchiostro grasso. A questo punto, la lastra viene bagnata e può avere inizio il processo della stampa. L’inchiostratura è eseguita con colori grassi e con l’ausilio di un rullo. La matrice è mantenuta sempre umida in modo che l’acqua continui a respingere l’inchiostro dalle parti da lasciare bianche e aderisca invece alle zone disegnate. La posa del foglio da imprimere e l’azionamento del torchio permettono di trasferire l’immagine dalla lastra litografica alla carta.

Per realizzare una Serigrafia procedimento già noto nell’antica Cina che di recente ha trovato nuove applicazioni, si tende un tessuto di seta o di nylon a trama molto fine su um telaio in legno, ottenendo così il “quadro di stampa”. Su -questa matrice l’artista traccia un’immagine utilizzando sostanze impermeabili (colla, colla e solvente, matite grasse ect.) o incollando sagome di materiale schermate. Quindi pone un foglio di carta sotto il telaio e con l’aiuto di una spatola di gomma chiamata “rada” stende l’inchiostro sul tessuto: l’inchiostro filtra attraverso le zone lasciate libere dalla colla e si deposita sul foglio sottostante, creando l’impronta.

E gli artisti incisori sono ancora al lavoro.

Claudio Massaro

L’incisione calcografica

L’incisione calcografica, è il complesso di tecniche che permettono l’esecuzione di lavori “multipli” attraverso un disegno riprodotto su uno o più supporti di materiale come: rame,alluminio,ottone,zinco,ferro,leggno,linpleum,acetato,plastica,cartone, ecc. La calcografia con la litografia e la serigrafia sono da considerarsi le più importanti tecniche di riproduzione di multipli. La calcografia comprende svariate tecniche: bulino (la tecnica più antica inizialmente usata dagli orafi e decoratori di armi), acquaforte ,la più antica tecnica indiretta poiché vennero usati gli acidi per eseguire  l’incavo, la cosiddetta morsura, e non l’azione  dell’incisore come nel bulino. La revoca era nota a Leonardo già nel 1504,ma si deve a Daniel Hopfer (1470-1536 ) la sua prima applicazione nel tentativo di incidere una matrice piana per la stampa in cavo. Albert Durer (1471-1528 )è il testimone più noto per questo interessante mezzo espressivo, molto vicino a quello dell’intaglio a bulino e soprattutto alla xilografia. In Italia è Marcantonio Raimondi ( 1482-1534 ) il primo ad applicarsi all’acquaforte. Contemporaneamente si accostano a questa tecnica il Parmigianino ( Francesco Mazzola 1503-1540 ).Si deve a Harmenszoon VanRijn Rembrant ( 1606-1669 ) l’intuizione e l’utilizzo di tutte le possibilità grafiche dell’acquaforte, del bulino e della punta secca sia separatamente che sovrapposte tra loro.   In Europa eccelle anche il Francese Jaques Callot (1592-1616 ) che riesce a cogliere i molteplici aspetti del reale nella diversità di successive morsure, adotta per la prima volta una vernice, per la  copertura delle lastre, molto resistente, a base di mastice, cera vergine  e ambra .                                                                                   In Italia, a Venezia, troviamo un grande sviluppo dell’acquaforte assieme alla tecnica dell’acquatinta, “della maniera a lapis” detta anche: ” ceramolle ” oppure “maniera matitosa “.   Numerosi sono gli artisti che si dedicano a questa tecnica, i maggiori si possono individuare in Luca Carlevarjis (1663-1730),  Marco Ricci (1676-1730), Antonio Canal detto il Canaletto (1697-1768 ), Giovanni Battista Tiepolo (1693-1770 ), Gia Battista Piranesi (1720-1778 ) ed in Spagna  F.Goya ( 1746-1828 ) e poi in Francia E.Manet, E.Degas, C.Pissarro, E. Delacroix, in Inghilterra W. Turner, e J.Abbot , Mc Neill Whistler, tornando in Italia Umberto Boccioni, Benvenuto Disertori, Carlo Carrà ed altri.     In tempi recenti Tono Zancanaro,( 1906-1985 ), P. Manaresi ( 1908-1991 ) , Giuseppe Guerreschi ( 1929-1985 ), Lino Bianchi Bariviera ( 1906-1985 ), Giovanni Barbisan (1914-1988 ).        Altre tecniche di espressione artistica, da combinarsi con l’acquaforte oppure singolarmente sono: la ” manieranera o mezzotinto “, maniera al sale, maniera allo zucchero, maniera pittorica, puntasecca , bulino ecc.

Tecnica per l’ encausto

E’ stato un mito per i romani e così pure per i pittori del rinascimento, per cui l’encausto è sempre circondato da un alone di mistero. E’ la tecnica maggiormente discussa  sotto il profilo tecnico. Il termine encausto significa “metto a fuoco” e deriva dalla lingua greca. Vengono usati i pigmenti stemperati nella cera di api fusa che offre al colore una luminosità vellutata. La pittura ad encausto ha bisogno di supporti compatti, tipo pannelli  legnosi, pietra intonaci murali preparati a gesso.

La tradizione antica prevede l’uso dei pigmenti colorati disciolti nella cera punica liquefatta, che ha funzione di legante, la cera punica la si ottiene facendo bollire la cera vergine nell’acqua di mare, di seguito si aggiunge della calce spenta , colla , un pò di acqua, essenza di trementina, e con tale impasto,  miscelato ai colori in polvere, si va a dipingere con pennello o spatola.

A dipinto ultimato gli si distende sopra un velo di cera fusa e si lascia il tutto rapprendere. Passati alcuni giorni per l’asciugatura alla quale segue al lucidatura satinata che si realizza con i cauteri  o cestri, ossia ferri caldi, ne risulta una pittura apprezzata per la sua buona resistenza alle variazioni climatiche. Conosciuta in antico, la tecnica era già nota ai Greci come testimoniano gli scritti di Plinio il Vecchio,ma conobbe grande fortuna presso i romani . I ritratti più famosi sono quelli del Fayum in Egitto datati al1° secolo d.C. e le pitture murali di Pompei .

Nell’arte contemporanea viene utilizzato raramente, e si può affermare che oggi è una tecnica quasi completamente in disuso.

Tecnica della tempera grassa

La dicitura a tempera deriva dal latino temperare, ossia mescolare. Questa tecnica viene chiamata grassa quando i pigmenti in polvere vengono mescolati con un legante realizzato con emulsione a base oleosa, tipo olio di lino, cera d’api, tuorlo d’uovo, caseina o colle animali, gomme vegetali o amidi; viene chiamata magra quando i pigmenti sono mescolati in base acquosa.L’essenza di trementina è il diluente perfetto per la tempera grassa ricca di parti oleo-resinose.

Diversamente dai colori ad olio, la tempera grassa asciuga rapidamente e le tinte sono più stabili nel tempo. I supporti utilizzati sono gli stessi di quelli della tecnica ad olio, quindi tele preparate, tavole con imprimitura, intonaci tirati a gesso, ecc. La pittura a tempera grassa ha le sue radici nella civiltà dell’antico Egitto, di Roma, dell’India e della Cina. E’ nel medio evo che questa tecnica raggiunge  un ruolo predominante, poi progressivamente sostituita dalla pittura ad olio. La maggior parte delle pitture sparse nel mondo è stata realizzata con tempere grasse o magra.